“Le parole di oggi sono fuoco e pietre”: il vescovo Castellucci sui migranti

«Aiutiamoli anche a casa nostra: quando arrivano, dobbiamo ricordarci che sono esseri umani, con la sola sfortuna di essere nati nell’emisfero sbagliato»

L’8 luglio 2013 Papa Francesco compì il primo viaggio apostolico del suo pontificato. Fedele al primato delle “periferie”, la meta fu Lampedusa: in un’estate rovente non solo per il clima atmosferico, ma anche per le polemiche e i morti in mare. Lampedusa: luogo di vita e di morte, di speranze accese e deluse, di accoglienze generose e respingimenti, di lacrime e di sorrisi. Simbolo della nostra difficile epoca, concentrato di paure e di attese, di piccoli gesti eroici e di chiusure dei cuori. Segno di contraddizione. Ora, esattamente cinque anni dopo quella visita, il clima è ancora più rovente: di nuovo polemiche, ancora morti in mare e sbarchi e respingimenti. Ma si sono ammassate, inoltre, le parole: sono diventate fiumi che travolgono. Miliardi e miliardi di parole, rimbalzate sui giornali e sui siti, travestite da slogans e luoghi comuni devastanti. Perché “la lingua è un fuoco”, come ha scritto San Giacomo (3,6) e dunque la bocca è una mitragliatrice. Perché “le parole sono pietre”, come ha scritto Carlo Levi, e dunque la bocca è una catapulta. Il fuoco può distruggere, purificare o illuminare e scaldare. Le pietre possono servire per uccidere, costruire dei muri o edificare dei ponti. Oggi volano parole che rischiano di distruggere come un incendio, che rischiano di uccidere come una lapidazione. Sono le “parole ostili” che fanno di ogni erba un fascio, mirando a suscitare la rabbia repressa, ad ossigenare le paure ataviche, ad ingigantire i pericoli e ad identificare il nemico con il diverso. Sono le parole che rimbalzano di bocca in bocca e addossano a loro, ai migranti, la responsabilità di tutti i mali: dalla crisi economica alla disoccupazione, dalla delinquenza alla droga. Mescolando e confondendo, peraltro, categorie di per sé differenti: migrante, straniero, profugo, extracomunitario, clandestino, richiedente asilo, sfollato, fondamentalista… Quanti di quelli che sparano le loro parole come fuoco e le scagliano come pietre saprebbero definire correttamente questi termini? La confusione delle lingue è segno della confusione mentale nutrita dalla propaganda. Quando non ci sono argomenti con cui portare avanti le proprie idee, le parole escono come urla: sfogarsi contro qualcuno, in fondo, fa sentire migliori. Ma il fuoco può anche purificare e le pietre possono costruire muri. Il fuoco purifica i cibi dai batteri e le pietre edificano i muri delle case. Purificare da chi? Difendersi da chi? Non certo dalle vittime, ma dai carnefici. Disse dei migranti papa Francesco a Lampedusa: «prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare». Le parole dure vanno dette contro i trafficanti, i criminali che lucrano sulla pelle dei poveri. Non chiudendo i porti – pratica inaccettabile per la coscienza prima che per il diritto – ma combattendo questo commercio alla radice. Come? Aiutandoli a casa loro, certo. C’è una verità profonda in questa frase: purché si tenga presente che aiutarli a casa loro richiede le nostre risorse, anche perché alcuni dei mali dai quali fuggono sono l’onda lunga di un colonialismo del quale alcuni grandi Stati europei non possono certo dichiararsi innocenti. Aiutiamoli, però, anche a casa nostra: quando arrivano, dobbiamo ricordarci che sono esseri umani, con la sola sfortuna di essere nati nell’emisfero sbagliato. Aiutiamoli ad integrarsi, ad inserirsi dignitosamente nel nostro tessuto sociale ed ecclesiale; e scopriremo noi stessi nuove ricchezze, fino a rileggere il Vangelo con uno sguardo diverso: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35) assumerà allora i lineamenti concreti dei volti di tanti esseri umani e potremo dire più autenticamente, anche nella liturgia, la grande parola cristiana che non ferisce, non uccide, non demolisce e non giudica: la parola “fratello”.

† Erio Castellucci