E la città risponde

 

Ha parlato di desiderio e di speranza mons. Antonio Lanfranchi nel suo primo messaggio alla città in occasione della festa di S. Geminiano 2011. Parole attese e accolte dai modenesi con grande partecipazione: ecco le voci in risposta ai temi sollevati dall’arcivescovo.
 
 
Tre parole fondamentali
 
In un Paese che sembra aver smarrito i fondamentali punti di riferimento, che fatica ad affrontare con serietà e creatività le nuove sfide sociali e che rischia di deprimere e compromettere il proprio rilevante patrimonio educativo e culturale, il messaggio alla città dell’arcivescovo di Modena ha segnalato numerosi e preziosi spunti di riflessione. E la solennità del patrono san Geminiano ha offerto, come ormai da anni è tradizione, l’occasione per guardare la città con occhi affettuosi e critici e con atteggiamento partecipe, ma non assolutorio. Siamo di fronte ad una situazione problematica che attraversa le parole e i comportamenti pubblici, il significato delle regole, i valori profondi e condivisi che guidano gli stili di vita, il rispetto profondo della persona umana che si ribella alla mercificazione del corpo e, soprattutto, la visione di un nuovo orizzonte. Non è estranea a questa crisi la degenerazione del linguaggio, soprattutto quello politico e quello che abitualmente viene proposto dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Proprio per questo condivido con l’arcivescovo Lanfranchi la necessità di recuperare il significato di alcune parole fondamentali, assenti o dimenticate da troppo tempo nell’ambito della riflessione pubblica. La prima è ‘comunità’, o casa comune, che ben si può attribuire ad una città destinata a racchiudere in sé ‘ secondo le parole di La Pira ‘ una vocazione e un mistero. Abbiamo tutti la necessità di riscoprire questa dimensione della cittadinanza, e non solo perché stiamo attraversando una grave situazione di crisi economica, dalla quale nessuno di noi uscirà individualmente, ma perché è nelle relazioni con gli altri che scopriamo di appartenere ad un territorio e una storia. La seconda parola è ‘speranza’, perché senza un orizzonte e un obiettivo nessuno riesce a individuare una strada e a chiarire quali sono gli strumenti che consentono di percorrerla assieme ad altri. La terza è un verbo, ‘armonizzare’, che sintetizza l’esigenza di un incontro tra ciò che abbiamo ricevuto in eredità e ciò che, accogliendo con critica intelligenza le novità, lasceremo a nostra volta alle generazioni che verranno.
Giorgio Pighi
sindaco di Modena
Ha parlato alle coscienze
 
La prima volta che mons. Antonio Lanfranchi ha parlato in Duomo durante la festa del suo predecessore Geminiano, si è rivolto ai presenti dicendo: ‘Noi modenesi’.
Se il buongiorno si vede al mattino già questo piccolo segno di totale identificazione con i modenesi dimostra  come il nostro pastore  ha inteso capire ed interpretare  le ansie ed i bisogni dei suoi nuovi concittadini.
In un discorso denso di richiami evangelici e dei padri della Chiesa  mons. Lanfranchi non ha abusato  di banali considerazioni in politichese o in sindacalese, ma ha parlato alle coscienze ed ai cuori  dei fini ultimi sui quali ogni persona prima o poi  si trova ad interrogarsi.
Di quello che ha definito: ‘Speranza Affidabile’ hanno infatti sete i modenesi di oggi e di domani, come nei secoli è accaduto per generazioni e generazioni che nella Domus di San Geminiano hanno trovato conforto e riparo.
Diaconi e popolo di Dio hanno ricambiato offrendo al nuovo arcivescovo- abate uno straordinario spettacolo di  partecipazione e celebrazioni religiose dove storia, arte,  canto e liturgia  hanno offerto momenti di grande raccoglimento ed intensità di preghiera.
Con la sicura disponibilità  ad aprirsi  ad uno dei passi più significativi del suo discorso:’Il bene comune è il bene di tutti, per un respiro che abbraccia ed anima  la dimensione cittadina,  nazionale, europea  e mondiale.  C’è un interdipendenza che porta a sentirsi cittadini del mondo, dell’Europa,  dell’Italia, perché cittadini di Modena’.
 
Sen. Carlo Giovanardi
sottosegretario  alla Presidenza del Consiglio
  
 
Ravvivare la speranza dei modenesi
 
Ho letto con attenzione il messaggio rivolto alla città da S.E. l’arcivescovo in occasione della solennità di San Geminiano, riflessione che, come sempre, si contraddistingue per l’altissimo profilo dottrinale e sociale.
Una missiva che vuole fondamentalmente ravvivare la ‘speranza’ in tutta la comunità modenese. Una Modena che presenta oggi ‘ sottolinea mons. Lanfranchi – ‘un volto ben diverso rispetto a quello dei tempi di Geminiano’ ma non esente dalla crisi che colpisce tutta la società, sempre più multietnica e interculturale. In tale contesto appare opportuno il riferimento al tema dell’integrazione, la quale non può consistere solo nell’assunzione dei comportamenti più superficiali della comunità locale, ma deve identificarsi ‘ sostiene l’arcivescovo ‘ nel rispetto della cultura e delle tradizioni delle comunità. In tale forma di rispetto, riterrei di soggiungere, rientra la piena osservanza della legalità, cioè delle leggi e dei principi costituzionali di un paese, senza la quale non ci può essere integrazione.
Ma uno degli aspetti di primario rilievo che viene posto al centro del messaggio è la necessità di perseguire il bene comune. Ma cos’è il ‘bene comune’? In una società fortemente edonistica, quale l’attuale, ove è sempre più difficile individuare mete condivise in quanto la dimensione individualistica sembra prendere il sopravvento, è ancora possibile parlare di bene comune come principio ispiratore dell’agire umano? Al quesito darei una risposta positiva.
Non dimentichiamo di essere eredi non solo di quel Machiavelli secondo il quale il mondo è dominato da ‘Fortuna’ (intesa come sorte) che l’uomo, qualora necessario, è chiamato a contrastare attraverso anche i mezzi più illeciti. Siamo anche eredi di quel Cicerone che nel ‘De Officiis’ riteneva la necessità, in ogni ambito, di anteporre la Virtù all’Utile. Il ‘bene comune’ è un concetto antropologico ancor prima che morale o istituzionale: l’impegno per il “bene comune” è  caratterizzato da scelte di fondo da parte di ognuno. Esso non può considerarsi come la somma dei singoli beni, ma il fine ultimo delle nostre azioni.
Tutti siamo chiamati a perseguire tale “fine” che si sostanzia – a mio avviso – nella realizzazione della piena legalità e quindi della convivenza pacifica.
Il ‘bene comune’ è quello per cui si sono battuti tanti uomini delle Istituzioni, basta solo ricordare il Prefetto Dalla Chiesa ed i giudici Falcone e Borsellino che con il loro agire hanno concorso a rendere migliore la nostra storia, il nostro Paese.
Il perseguimento di detto bene è un insegnamento che deve essere tramandato alle nuove generazioni affinché non si ripetano, peraltro, tragiche esperienze del passato.
‘Io non ti lascerò patrimoni o ricchezze ‘ scriveva Borsellino al figlio ‘ ma una grande eredità morale’.
Benedetto Basile
prefetto di Modena
Partire da ciò che amiamo
 
Siamo molto grati a mons. Lanfranchi per questo suo primo messaggio alla città: a meno di anno dal Suo insediamento come Pastore della nostra Diocesi si colgono subito una paternità ed un’affezione non improvvisate e formali, anzi già piene di quella speranza affidabile a cui ci richiama.
Del messaggio ci colpisce innanzitutto il severo monito, soprattutto per noi credenti, con il quale San Paolo ci richiama, invitandoci a non affliggerci come coloro che non hanno speranza, come coloro che non avendo incontrato Gesù Cristo, Colui che il male ha già vinto, si sentono sconfitti di fronte alle difficoltà della vita e alle miserie e al peccato degli uomini.
Il richiamo a questo passaggio della Lettera ai Tessalonicesi è particolarmente attuale, in quanto anche fra il popolo di Dio rischiano di dilagare lo sconforto e lo scetticismo, ma anche la rassegnazione e il cinismo, di fronte alle gravi conseguenze di questa crisi economica, come la vicenda Gambro Dasco di questi giorni,  e al contestuale desolante spettacolo fornito dalla politica.
Ma nonostante l’evidenza di tutto ciò, possiamo noi cattolici dimenticarci che Gesù Cristo ha già abbracciato e vinto tutto il male presente e futuro e, attraverso la Chiesa, accompagna ciascuno di noi nelle difficoltà e nelle pene quotidiane? O forse Cristo e la Chiesa non c’entrano nulla con quanto sta accadendo in questi mesi?
Di fronte a questa contraddizione ecco dunque il richiamo a S. Agostino, l’invito a ritrovare la speranza  a partire da ciò che amiamo, da quello che ci sta più a cuore per noi e per i nostri cari, dal positivo che c’è intorno a noi, facendo incontrare il nuovo e la modernità con le nostre tradizioni e concependo il bene personale dentro l’orizzonte del bene comune.
Noi come cattolici impegnati in politica vogliamo servire questa speranza affidabile, ben consapevoli del nostro limite, del nostro peccato e delle tentazioni del potere, augurandoci di poter sempre contare sull’attenzione e sulla severità, ma anche sulla misericordia e il sostegno, del popolo a cui apparteniamo.
                                                                                                                                        Davide Torrini
coordinatore regionale UdC
 
Il senso di un destino comune
 
Credo che il monito di mons. lanfranchi  metta a fuoco con grande lungimiranza il bivio a cui è giunta la nostra società. Non si limita ad indicare un decalogo di comportamenti ‘buoni’ ma tocca il punto profondo: riappropriarci di un senso di destino comune. In questi giorni celebrando il giorno della memoria più volte ho pensato a quanto il segnale più preoccupante che avesse generato l’orrore dell’Olacausto andasse individuato nel giustificazionismo dell’indifferenza che alla fine ha generato complicità. Mi sembra lo stesso senso di indifferenza con cui anche noi oggi guardiamo ai poveri e agli immigrati. Cerchiamo di giostrarci con il politically correct per sfuggire all’emergenza di una situazione che si sta sfaldando, che trascina tutti ad una deriva che viviamo quotidianamente in ogni luogo.

Le responsabilità della politica sono enormi e mons. Lanfranchi le individua bene e senza sconti: troppo frammentata e debole nei confronti delle grande istanze della società, troppo chiusa nei propri interessi. E’ giunto il momento di smetterla di parlarsi addosso, coltivare ciascuno il proprio orticello, bastare a sé stessi e alla propria nicchia che si vuole rappresentare. Ma non basta indignarsi, additare, denunciare: anzi il generale senso di sconforto rischia di amplificare questa crisi di sfiducia senza ritrovare il circuito virtuoso della speranza. Lo spartiacque di questo bivio è il farsi carico delle situazioni di disagio perché è in quello che si specchia il senso di una comunità.

 
Ci vuole più amore
 
La lettera alla città del nostro vescovo potrà risultare efficace in base alle persone, credenti e non, che non solo la leggeranno ma che decideranno di invertire la propria rotta di marcia. La forza di questa lettera sta nel fatto che si inserisce in una tradizione e in una dinamica più ampia. Quella nella quale la parola laica cambiamento fa rima con la parola spirituale conversione.
Il cambiamento vero, quello duraturo, quello che porta frutto riguarda prima di tutto ciascuna persona prima ancora che le istituzioni o la società in generale. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: se sono chiari i problemi, se sono condivisibili le esigenze di maggiore equità, di maggiore benessere, di maggiore coesione sociale, perché si continuano a fare le stesse cose che si facevano fino a ieri e che sono alla base dei problemi di oggi? Se abbiamo ben compreso le parole di mons. Lanfranchi la risposta è che ci vuole più amore.
Amare certamente non è facile, ma l’importante è darselo come obiettivo anche se oggi appare prevalente l’opinione che esso sia impossibile da raggiungere, almeno che non sia circoscritto all’interno delle relazioni interpersonali più strette. La capacità di amare del singolo è influenzato dalla capacità di amare dell’ambiente nel quale si vive e, viceversa, il singolo può condizionare la capacità di amare della collettività.
Se concentriamo l’attenzione, ad esempio, all’ambito politico assistiamo ad un fenomeno diffuso che è quello della gestione del potere in base al quale appaiono sacrileghe tutte quelle prospettive diverse dalle proprie. A tale situazione non è estraneo l’attuale sistema di comunicazione che sentenzia come e chi ha successo. Da questo si capisce l’impatto negativo sulle persone se si integrano il potere di chi costruisce rappresentazioni della realtà tramite il processo di virtualizzazione operato dai media e quello di chi collega la politica a questa virtualizzazione e non alla realtà al fine di accrescere ulteriormente il proprio potere. L’esempio serve per dire che è possibile una politica basata sull’amore e che il modo di costruirla, e quindi di valutarla, va individuato sull’asse autoreferenza/referenza; l’amore è proprio quella forza che permette di passare da comportamenti fine a se stessi a quelli orientati alla costruzione della città per l’uomo.
 
Giampietro Cavazza
Centro culturale ‘F. L. Ferrari’
 
Per una cittadinanza responsabile
 
Il primo messaggio che il nuovo arcivescovo di Modena Antonio Lanfranchi ha affidato alla città in occasione della festa del suo Patrono, insieme ad una serie di condivisibili considerazioni che riguardano lo stato di salute ‘ per così dire ‘ della comunità modenese, contiene importanti riflessioni che ci toccano da vicino come Ateneo e di cui avvertiamo a pieno la responsabilità di operare perché la crisi possa essere rapidamente superata. E’ certamente vero che la profondità e lo spessore della crisi economica, ma anche sociale e morale, determina incertezza nel futuro ed il venire meno della ‘speranza’, speranza di un miglioramento, di un cambiamento dell’attuale stato di cose, di cui anche l’Università soffre a causa delle scarse risorse che si investono in Italia per la ricerca e la formazione. Inevitabile che i primi ad essere colpiti siano i giovani, che si sentono respinti da un sistema che finisce per allargare le diseguaglianze, per diffondere e allargare il senso di insicurezza e di precarietà, precarietà per quanto riguarda il lavoro, ma più ancora per quanto riguarda la prospettiva del loro avvenire. Quanto sta accadendo in Italia deve chiamare tutti ad un forte senso di responsabilità, come ha detto l’arcivescovo ad un ‘ethos comune’ e a dar vita ad un ritrovato patto intergenerazionale che includa, in particolare, i giovani. Tocca agli uomini delle Istituzioni, dell’economia e del mondo del lavoro ‘ in primis ‘ avere la consapevolezza che per opporsi alla deriva cui stiamo assistendo occorre restituire credibilità alle medesime se vogliono veramente accompagnare autorevolmente il Paese fuori dalla crisi. Solo se esse sapranno rigenerarsi su un piano morale ed etico potranno recuperare la fiducia generale e raccogliere il compito che gli affida Mons. Lanfranchi ‘educativo- formativo’. Come Ateneo, impegnati come siamo quotidianamente nel contatto e nel confronto coi giovani, abbiamo per parte nostra già avviato un profondo rinnovamento che ha riguardato sia la gestione che la didattica per ancorarla a contenuti più aderenti alla realtà ed al territorio. Ci rendiamo conto che questo sforzo da solo non basta per ridare speranza ai nostri ragazzi e ragazze, se non si declina col giusto richiamo ad una ‘cittadinanza responsabile’ che i nostri docenti devono saper trasmettere nei loro insegnamenti e nei loro comportamenti.
Aldo Tomasi     
Rettore Università di Modena e Reggio Emilia
 
Lo spazio del ‘bene comune’
 
Tutti i modenesi, cattolici e non, dovrebbero riflettere attentamente sul recente messaggio alla città dell’arcivescovo Lanfranchi, e per molti motivi. Tra i tanti temi affrontati (l’educazione, la speranza, la responsabilità, l’amore, la giustizia), qui ne discuto brevemente solo uno, assumendo con la massima serietà l’auspicio dell’arcivescovo di promuovere la ‘Chiesa nella città’, una Chiesa che partecipa all’intera vita e civile. Il tema è quello degli effetti sociali dell’individualismo possessivo ed edonistico che caratterizza il nostro tempo. In questione non è qui la centralità della persona, della sua irrinunciabile dignità e singolarità, che deve essere tutelata per evitare ogni deriva totalitaria; qui è in questione il suo svuotamento e la sua riduzione a consumatore, cioè a un simulacro della vera individualità. Una vera città non può esistere, infatti, se non è animata da persone dotate di virtù, amore, comunione, speranza, desiderio del bene, cioè da tutte quelle caratteristiche che per definizione mancano all’individuo-consumatore, isolato nel proprio narcisistico compiacimento e in una privata adulazione del sé, totalmente svincolato da qualsiasi responsabilità nei confronti degli altri e della comunità in cui vive. In quest’epoca di sfrenata globalizzazione si è smarrita la consapevolezza che il vero bene dei singoli può essere perseguito solo insieme al bene comune: ma in questo modo la città non è più ‘la casa di tutti’, bensì un luogo informe in cui ognuno persegue egoisticamente il proprio interesse di breve termine. Sono molti i fattori che hanno determinato questa profonda caduta etica, ma non possiamo dimenticare che negli ultimi venti anni si è smarrito il legame tra produzione e territorio, tra ricchezza e comunità: nel flusso globale del denaro, delle merci e delle tecnologie, non esiste più alcuna responsabilità nei confronti del luogo e delle persone (lo dimostrano anche le recenti notizie che provengono dalle industrie del territorio modenese). Come recuperare allora lo spazio del bene comune? Senza dubbio è necessario un rigoroso richiamo morale ai cittadini, e in particolare alle classi dirigenti, ma è altrettanto necessario che le logiche economiche ritrovino una dimensione di socialità condivisa e di responsabilità, senza la quale vi è solo il nulla dello spazio globale.
 
Carlo Altini
Direttore scientifico 
Fondazione collegio S. Carlo