L’arcidiocesi piange papa Francesco.
Monsignor Castellucci: «Esempio di speranza»
L’arcidiocesi di Modena-Nonantola, in comunione con la Chiesa universale, piange la morte di papa Francesco salito alla casa del Padre il 21 aprile, lunedì dell’Angelo, all’età di 88 anni.
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, papa Francesco, al secolo Jorge Maria Bergoglio, è stato ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969 dall’arcivescovo di Córdoba Ramón José Castellano. È stato nominato vescovo (1992) e creato cardinale (1997) sotto il Pontificato di papa Giovanni Paolo II. Il 13 marzo 2013 è stato eletto Papa. Nel suo ministero, durato dodici anni, abbracciò «l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (Evangelii Gaudium, 195) in continuità con i suoi predecessori.
In queste ore numerosi fedeli dell’arcidiocesi si stanno recando a Roma per un ultimo saluto al Pontefice. Saranno presenti anche 900 ragazzi provenienti da 30 comunità parrocchiali che partecipano al Giubileo degli adolescenti. Nei giorni scorsi, in arcidiocesi, si sono svolte diverse celebrazioni e iniziative di preghierain memoria del Pontefice, tra le quali la Messa di suffragio presieduta dall’arcivescovo Erio Castellucci nella Cattedrale.
Lunedì dell’Ottava di Pasqua – S. Messa in suffragio di papa Francesco – 21.04.2025
– At 2,14.22-33; Sal 15; Mt 28,8-15 –
Ieri le campane delle nostre chiese hanno suonato a festa per annunciare la risurrezione del Signore; oggi hanno suonato a lutto per annunciare la morte di papa Francesco. Ma ieri, dentro al suono festoso, c’era anche il peso delle risurrezioni che ancora attendiamo: quelle dell’umanità sofferente e smarrita; e oggi, nel suono funebre, c’è anche la leggerezza di una morte che è passaggio alla vita piena e gioiosa. La Pasqua, nel cui clima viviamo questi giorni, è mescolanza di morte e vita, di attesa e pienezza, di dolore e letizia. Per il mondo è strana questa mescolanza; per i discepoli del Signore è invece il senso stesso della loro speranza. Non esiste campana a festa che possa cancellare i tanti dolori del mondo; non esiste campana a lutto che possa cancellare la fede nel Signore risorto. La vita è intreccio di grano e zizzania, di buio e luce, di sofferenza e gioia. E la speranza cristiana è proprio il seme buono in mezzo all’erba cattiva, la luce accesa in mezzo alle tenebre, il cuore radicato nella gioia in mezzo alle difficoltà.
Papa Francesco, in questi dodici anni, ci ha dato un grande esempio di speranza: l’Anno Santo, che lui stesso ha voluto chiamare “Giubileo della speranza”, è come il suo testamento. A nemmeno dodici ore dalla sua morte, non è certo questo un tempo di bilanci: sarà poi lo Spirito Santo a farli. È invece tempo di silenzio e preghiera, è tempo di memoria e gratitudine. Papa Francesco è entrato nelle nostre case con la disarmante semplicità di un fratello, un padre o un nonno; si è fatto spazio nei cuori di milioni di persone, cattolici, cristiani di altre confessioni, credenti di altre religioni e non credenti, con la forza della sua radicalità evangelica. Non era certo un diplomatico e non ha mai fatto sconti a nessuno: era prima di tutto un uomo, che manifestava senza maschere le proprie idee – anche quando erano scomode – e non nascondeva il proprio carattere immediato e spontaneo, il suo spiccato senso dell’umorismo e la preferenza per le cose modeste ed essenziali, a partire dalle cerimonie e dai riti.
Ma è stato soprattutto un pastore, innamorato di Gesù. La sua profonda cultura, unita ad una solidissima memoria, era posta al servizio dell’annuncio del Vangelo: la predicazione lineare e diretta, arrivava al cuore e si legava alla vita quotidiana, facendo spesso riferimenti a fatti capitati e persone incontrate nel suo ministero di religioso, parroco e vescovo. Non chiedeva mai nessun favore in cambio, se non questo solo, ripetuto migliaia di volte, al termine degli incontri pubblici e di individuali: “per favore, ricordatevi di pregare per me”. La forza della preghiera lo ha sostenuto anche nei momenti più difficili. Mi permetto di accennare ad un incontro che ho avuto con lui quattro anni fa, l’unico incontro a tu per tu. Nel dialogo, di mezz’ora circa, ad un certo punto gli ho chiesto: “come fa ad essere sempre sereno, davanti agli attacchi pesanti e malevoli che le vengono diretti da alcuni, anche dentro la Chiesa?”. Dopo un momento di riflessione, ha risposto: “Prego ogni giorno per loro”. E alla fine dell’incontro, salutandomi, non ha smentito la sua vena ironica: “Ricordati di pregare per me… non contro di me!”. Nessuna meraviglia, in realtà, perché non faceva che mettere in pratica il Vangelo: “pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,44).
Non è un mistero che i medici, dopo l’ultimo lungo ricovero, gli avessero prescritto due mesi di riposo assoluto, senza incontri e senza uscite. Ha resistito alcuni giorni, poi ha voluto comparire più volte in pubblico, si è recato pochi giorni fa in carcere ad incontrare i detenuti e ieri ha impartito la benedizione pasquale e ha girato tra i fedeli in Piazza San Pietro. Voleva dare un ultimo abbraccio alla sua gente, compiendo fino in fondo il ministero di Pietro. Il buon Pastore lo ha associato alla sua Pasqua, portandolo ormai in cielo per la convalescenza.
Preghiamo per lui e per tutti coloro ai quali ha dedicato il suo ministero: a noi tutti, specialmente agli svantaggiati e ai poveri, che in lui hanno trovato un vero e proprio difensore, e a quelli che chiamava “gli scarti” della società, soprattutto i profughi. A noi non sembrava questo il momento di chiamarlo alla vita eterna: c’è tanta confusione su questo pianeta, ci sono decine di guerre, ingiustizie, violenze; abbiamo bisogno di punti di riferimento solidi, che portino la luce del Vangelo. Il Signore non abbandonerà certo la Chiesa e il mondo e ci donerà presto un successore che ne prosegua l’opera. Ora la nostra gratitudine per averci donato questo grande papa si trasforma in preghiera, obbedendo una volta ancora alla sua richiesta di non dimenticarci di pregare per lui e chiedendo al Signore di accoglierlo nella sua pace.
+ Erio Castellucci