Controreplica al Comunicato del Comitato “Voci Vere” del 23 giugno 2023

Controreplica al Comunicato del Comitato “Voci Vere”

del 23 giugno 2023

Il Comitato “Voci Vere Italia” (d’ora in poi per brevità C.V.V.I.) ha replicato, con un suo comunicato del 23 giugno u.s., al comunicato dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola, nel quale si rispondeva alla duplice presa di posizione, da parte dello stesso C.V.V.I., rispetto alla Nota emessa dall’Arcidiocesi il 22 maggio u.s. circa il ruolo di don Giorgio Govoni nei “fatti della Bassa”, quale si può dedurre dalle sentenze della Magistratura nei vari procedimenti. Rispondono l’arcivescovo (I.) e uno degli avvocati incaricati (II.).

I.

La replica, affidata all’Avv. Annalisa Lucarelli, è apprezzabile per il tono pacato e argomentativo, ben diverso da quello dei due comunicati precedenti, confusi e scomposti. Il punto focale di tale replica riguarda la mia reazione all’affermazione che avrei “rifiutato di incontrare le vittime”, da cui si deduceva che “la Chiesa” non abbia la volontà di ascoltare le vittime. L’avv. Lucarelli ammette, e la ringrazio, che un incontro con il Comitato, presenti alcuni dei “bambini” di allora, c’è stato; ed è quello del 2 novembre 2019, del quale non era stata fatta alcuna menzione nei due comunicati precedenti.

Ritiene tuttavia che l’espressione utilizzata dal Presidente Bindi, riguardante il mio presunto “rifiuto” di incontrare le vittime, si riferisse ad un’altra richiesta, quella del 15 ottobre 2022, avanzatami dal Comitato in seguito all’iniziativa annunciata dall’Arcidiocesi di affidare a dei legali la verifica degli atti processuali riguardanti don Govoni. L’Avv. Lucarelli, ipotizzando che “tale richiesta” mi sia sfuggita, conclude che “era rimasta senza esito”. La realtà appare molto diversa. Con PEC del 15 ottobre 2022, l’Avv. Lucarelli mi riferiva di aver appreso da un articolo pubblicato sul “Panaro.net” del 12 ottobre, e da un altro pubblicato su “Il Resto del Carlino” del giorno successivo, che “la Curia” (in realtà l’Arcidiocesi) modenese aveva intenzione di ricostruire quanto era accaduto due decenni fa nella vicenda relativa a don Govoni. Per conto del C.V.V.I. mi chiedeva un incontro “per chiarire i motivi che hanno portato a questa decisione della Curia e le finalità che la stessa intende perseguire da questa ricostruzione storica”. Il 17 ottobre le rispondevo così: “La ringrazio per l’interesse manifestato verso l’iniziativa della Diocesi. A suo tempo esprimerò le mie valutazioni, terminato il lavoro di ricognizione degli Atti del Processo. Al momento non ritengo di dovere dare altre spiegazioni”.

Interpretare la mail dell’Avv. Lucarelli, alla quale comunque era stato dato riscontro (e dunque non era “rimasta senza esito”: il che farebbe pensare ad una mancata risposta), come richiesta di “incontrare le vittime”, e quindi la mia risposta come “rifiuto di incontrare le vittime” è una manipolazione. La richiesta, come esplicitamente dichiarato nella mail, era quella di chiarire i motivi che hanno portato all’iniziativa dell’Arcidiocesi e le finalità che questa ricostruzione storica intende perseguire; e non quella di ascoltare – per una seconda volta – le vittime. Non ho ritenuto opportuno incontrare (ancora) il C.V.V.I., perché ho ritenuto questa richiesta incongrua rispetto all’analisi degli atti processuali, che era ed è stato l’intento, dichiarato fin dall’inizio, dell’incarico dato dall’Arcidiocesi ai legali.

Il mio rifiuto di incontrare (nuovamente) il Comitato fu determinato anche dal disappunto con il quale avevo letto nella pagina Facebook del C.V.V.I. il ripetuto avvertimento che chiude diversi comunicati con questa formula: “Il Comitato Voci Vere diffida chiunque voglia ancora diffondere pubblicamente notizie false o fuorvianti sulla vicenda processuale del sacerdote don Giorgio Govoni, nonché di conseguenza sui nostri figli”… (diffida ripetuta in diversi post: ad es. il 12.10.2022 e il 16.10.2022; ribadito poi il 28.11.2022), esplicitando in un post precedente l’estensione di tale diffida a: “giornalisti, politici, uomini di Chiesa, ecc.” (18.01.2022). Questa “diffida” mi è sembrata subito inopportuna: primo, perché in Italia esiste libertà di parola e di opinione, quando si resta entro i limiti stabiliti dalle norme civili e penali; secondo, perché sulla vicenda processuale di don Giorgio non esiste alcuna “esclusiva” di nessun Comitato, né di nessuna Diocesi o di chicchessia; terzo, perché l’indagine su tale vicenda riguarda prima di tutto lui, e poi le altre persone implicate nelle tristi vicende (bambini di allora, famiglie coinvolte, parenti e parrocchiani di don Giorgio). Con quale diritto un Comitato può esprimere questa “diffida”? Questo sottofondo ha acuito in me la sensazione che la richiesta giunta via mail fosse incongrua. E confermo questa sensazione. Con ciò respingo anche nuovamente l’accusa, contenuta “in coda” al Comunicato dell’Avv. Lucarelli – unica caduta di stile – che “la Chiesa non abbia reale volontà di ascoltare le vittime”; affermazione gratuita, che parte da una mancanza di conoscenza della realtà. In questa vicenda, poi, “le vittime” sono comunque molte, stando alle sentenze: e a tutte, come ripetutamente dichiarato, va la solidarietà e l’ascolto.

Non è infine vero che l’Arcidiocesi abbia dato priorità a “voci di paese”, rispetto a quelle dei “bambini”; semplicemente i legali incaricati hanno messo puntualmente in fila le sentenze riguardante il sacerdote e hanno tratto le conclusioni che sono apparse più appropriate e che sono state messe a disposizione di tutti. Ciascuno poi se ne farà un’idea, confrontando questa posizione con le altre. Piuttosto, rileggendo alcuni post della pagina Facebook del C.V.V.I., noto – lì sì – “voci di paese” tutte da dimostrare, anzi francamente screditanti: “contrariamente a quanto si vuol far intendere, risulta che il don Govoni non fosse un sacerdote così amato dalle sue comunità e neanche dalla chiesa di allora. Passava la maggior parte del suo tempo a fare il camionista con la ditta di famiglia, e quando qualcuno aveva bisogno di lui per qualche servizio religioso doveva cercarlo sul lavoro, non in chiesa, oppure nel bar o nella trattoria, dove era solito trattenersi (…). L’imputato però morì improvvisamente poco prima della sentenza di primo grado. Le circostanze della sua morte risultarono singolari: il don Govoni telefona al suo avvocato per chiedergli un incontro urgente e mentre era in sala di attesa fu colto da improvviso infarto. Le cause della morte furono: crepacuore? vergogna? altro? … chi può dirlo? Però ci possiamo domandare: che cosa aveva di tanto importante da riferire al suo legale?” (post del 28.11.2022). Mi fermo qui, perché questa serie di insinuazioni nulla hanno a che vedere con una ricostruzione seria delle vicende processuali di don Govoni, e quindi sono fuori dall’interesse di questo comunicato.

Lascio all’Avv. Amodeo, che conosce bene gli atti processuali, ulteriori specificazioni. Non ci saranno altre repliche da parte dell’Arcidiocesi, per non ripetere di nuovo quanto già detto. Se il C.V.V.I. intende proseguire nel confronto – cosa sempre utile a tutti, se mantenuta nei limiti del rispetto reciproco e degli argomenti di ragione – possiamo considerare l’ipotesi avanzata nel comunicato vocale dell’Ing. Bindi: un incontro pubblico, nel quale sia possibile parlarsi “alla pari” e relativamente alla sola vicenda di don Govoni.

Erio Castellucci

II.

Preciso e ribadisco che mi è stato affidato l’incarico di esaminare le sentenze riguardanti la posizione di don Giorgio Govoni nei processi che lo hanno coinvolto e di riferire all’Arcidiocesi. Così ho fatto.

Per quanto riguarda i riti cimiteriali, evidenzio che la Corte di Appello di Bologna nella già citata sentenza emessa nel processo “bis” ha tenuto in considerazione tutte le prove a sua disposizione, incluse le dichiarazioni dei bambini. Dopo aver (ri)vagliato tutte le prove, la Corte ha formulato le sue motivazioni che l’hanno condotta alle relative assoluzioni in relazione ai riti cimiteriali. Lo stesso vale per l’asserito rapimento ai danni di un minore all’interno di un edificio scolastico.

Rilevo che non mi sono mai permesso di “insegnare” nulla circa la differenza tra accuse false e accuse non provate, limitandomi invece a prendere atto di quanto statuito nelle sentenze esaminate. Se alcune delle dichiarazioni dei bambini sono state false o non provate non sta al sottoscritto deciderlo. Sta di fatto che se qualcuno, ad esempio, afferma di aver ucciso o aver visto uccidere una certa persona ed il cadavere non si trova, la differenza tra accusa falsa e non provata rileva ben poco e non ritengo che, stando all’esempio, possa rimanere “sempre un’ombra” sul presunto assassino.

Per quanto riguarda il tema delle ritrattazioni dei due bambini asseritamente coinvolti in un episodio di abuso da parte del sacerdote, si tratta di un fatto successivo all’emissione delle sentenze che ho ritenuto opportuno segnalare all’Arcidiocesi. Non è “sfuggita” ai legali dell’Arcidiocesi la presentazione di un ricorso da parte di una persona condannata per pedofilia nei processi di cui si discute per la riapertura del suo caso, ed infatti ho richiesto l’invio delle sentenze nella disponibilità del C.V.V.I. Rinnovo, pertanto, l’invito a trasmettermi il testo integrale delle sentenze nn. 1207 e 1208 del 22.9.2020 della Corte d’Appello di Ancona e la sentenza n. 16566 del 11.1.2022 della Corte di Cassazione così che io possa prendere visione integrale dei testi citati dal C.V.V.I.

Serafino Amodeo

Modena, 26 giugno 2023