Diocesi: i numeri dell’accoglienza

 
 
 
In merito alle notizie che si stanno diffondendo via web, circa il presunto “business dei profughi” che, in accordo con la Prefettura di Modena, avrebbe coinvolto l’Arcidiocesi nella persona del vescovo Erio Castellucci – notizie diffuse con il titolo “Modena: Arcivescovo incassa 8.942.500 Euro per ospitare profughi” – si precisa quanto segue:
L’Arcivescovo è venuto a conoscenza della circolazione di queste notizie, che si stanno diffondendo da settimane, nella giornata di sabato 8 luglio 2017;
Tali notizie sono completamente fantasiose, prive di fondamento e gravemente lesive nei confronti dell’Arcidiocesi e del vescovo, il quale avvierà personalmente al più presto un’azione giudiziaria nei confronti di chi le ha inventate e diffuse;
L’Arcidiocesi, attraverso la Caritas e altri enti diocesani, è impegnata da tempo, di concerto con le istituzioni e in primo luogo con la Prefettura e il Comune di Modena, nell’accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo e dei profughi, consapevole delle difficoltà che questa operazione incontra a più livelli, ma consapevole anche della necessità di aiutare chiunque si trovi in situazione di grave necessità;
L’accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo e dei profughi avviene senza lucro da parte dell’Arcidiocesi. Le convenzioni dell’Arcidiocesi con associazioni e cooperative riguardano immobili normalmente dati in comodato gratuito o con un minimo canone di locazione, con l’onere delle utenze e di eventuali danni materiali causati alle strutture. Le risorse profuse risultano molto maggiori rispetto alle entrate economiche.
 
 
Iniziamo il nostro viaggio dalla città, in modo particolare dai centri d’ascolto delle Caritas parrocchiali sul territorio cittadino. I vicariati cittadini sono 4, per un totale di 30 parrocchie; tutte riescono, in modo diversi, a fare, a cadenze diverse, una distribuzione di cibo per le famiglie più in difficoltà; 21 di queste comunità hanno dato vita d un Centro d’ascolto.
“Questo è il primo dato significativo – ci dice Federico  Valenzano, il responsabile del Centro d’ascolto – perché ci mostra che dalla distribuzione impersonale di cibo, molte comunità sono passate alla costruzione di un rapporto più diretto e personale con chi bussa alla porta. E anche chi non ha un vero e proprio punto d’ascolto, attraverso contatti personali, la visita alle famiglie e strumenti simili cerca allo stesso modo questa prossimità. La crisi ha potenziato questo aspetto della carità: i centri son cresciuti con l’aumentare dei problemi. Le comunità cristiane hanno trovato il modo, nello specifico delle caratteristiche, delle forze e del territorio, di rispondere ai nuovi bisogni”.
Le comunità si impegnano, anche se non è sempre facile misurare. I volontari che, in quelle 30 parrocchie, sono impegnati in modi e tempi diversi nell’ascolto e nel servizio dei fratelli sono oltre 600, e Caritas diocesana li accompagna: è diventato un punto fermo, infatti, il coso di formazione proposto ogni anno alle persone che rinnovano il loro impegno nei centri o vi si accostano per la prima volta. Due i livelli della formazione: l’offerta di strumenti operativi, per la gestione quotidiana e di strumenti di analisi, per essere sempre più capaci di leggere i cambiamenti, i bisogni, quello che la povertà dice a Modena oggi, e quindi di individuare risposte e soluzioni.
Se guardiamo ancora una volta i dati, vediamo che da lunedì a sabato, a Modena, è possibile trovare un luogo in cui si distribuisce cibo; modi diversi, tempi diversi, fresco o conservato, ma si cerca di fare in modo che non ci siano piatti vuoti.
Torniamo ai numeri: le 30 parrocchie della città supportano, insieme, 2151 nuclei familiari: l’esperienza ci dice che sono quindi almeno 5 mila le persone accolte ed ascoltate dalle nostre comunità.   Un ascolto che si serve di numerosi strumenti, come abbiamo già detto: il centro vero e proprio, l’incontro personale, gruppi di famiglie, la sensibilità de catechisti. Queste antenne hanno permesso, lungo il tempo, di individuare altri, e non secondari, bisogni e di attivare quindi ulteriori servizi. Obiettivo delle comunità è infatti accompagnare gli individui e le famiglie verso la capacità di non dipendere più dal supporto esterno e di generare legami di amicizia e collaborazione in cui essi stessi diventano protagonisti, e non solo ricettori di un servizio.
Un bisogno   che ha visto molteplici evoluzioni lungo gli anni è quello dell’abbigliamento. Le parrocchie sono state a lungo,e per qualcuno purtroppo lo sono tuttora, il luogo in cui lasciare gli abiti vecchi, quelli che sanno di naftalina di un anziano defunto, quello che in una casa non serve più. Ma anche l’abbigliamento, specie in buone condizioni, soprattutto quello per bambini, che crescono in fretta e spesso non consumano gli abiti, si rivela spesso necessario: 21 sono le parrocchie che offrono anche questo servizio, una o più volte la settimana o secondo la disponibilità.
Un altro bisogno significativo è quello legato al sostegno scolastico: sono 19 le comunità cittadine che, grazie a volontari e ad operatori professionali, hanno creato uno spazio in cui, almeno due o tre volte la settimana, bambini e ragazzi, elementari e medie le scuole di riferimento, sono accompagnati nei compiti e nello studio. Questi spazi sono anche un reale strumento di integrazione: permettono di colmare gap linguistici, offrono strumenti ai genitori e sono un luogo di incontro di culture e religioni differenti, di socializzazione, creazione di legami e di amicizia.
Dai doposcuola si passa ai centri di aggregazione giovanile, la via della nostra diocesi all’esperienza dell’oratorio: non più solo i compiti quindi, ma anche gioco e tempo libero condiviso, sotto la responsabilità di educatori adulti; al catechismo ed ai gruppi scout si unisce il gioco, anche questa una preziosa occasione di integrazione. Le comunità sono vive, e quindi generano esperienze: laboratori di sartoria, maglia, uncinetto ed altri lavori simili insieme agli anziani, perché non solo i ragazzi hanno voglia di stare insieme. Corsi di italiano, completati dall’assistenza di baby sitter, di cucina, domeniche di condivisione, visite a chi non si può muovere. E ancora un laboratorio per ragazzi disabili e uno spazio diurno per gli anziani. Una volta soddisfatti i bisogni fondamentali, le persone si nutrono di incontri e relazioni.