Don Michele Montanari Giusto tra le nazioni

 
 
Don Michele Montanari e Alfonso Mucciarini  saranno riconosciuti Giusti tra le nazioni. La cerimonia si svolgerà a Pavullo il prossimo lunedì. Giusti tra le nazioni sono  coloro che non esitarono ad impegnarsi in prima persona per mettere in salvo gli ebrei perseguitati, durante il secondo conflitto mondiale,  a rischio della propria stessa vita: il memoriale Yad Vashem colloca il loro nome tra i Giusti, conferisce una medaglia e pianta, alla loro memoria, un albero.
Sono i testimoni delle vicende di allora ad impegnarsi perché la memoria di quanto accadde in quegli anni terribili sia conservata e condivisa: già due anni fa le prime famiglie, Succi, Casolari e Romani ricevettero il titolo, per aver dato rifugio ai Neppi, famiglia ebrea bolognese. Ma nella piccola frazione di Verica non erano stati i soli a rispondere all’appello del parroco, ospitando una famiglia ebrea. Il primo riconoscimento fu pertanto l’occasione per approfondire e riconoscere il ruolo di don Michele Montanari e Alfonso Mucciarini.  Don Montanari, nato a Levizzano nel 1893, fu ordinato sacerdote nel 1919; fu economo ed insegnante nel seminario di Fiumalbo fino al 1933, anno in cui divenne arciprete di Verica. L’intitolazione di una strada a don Montanari, da parte del Comune di Pavullo, nella sua Verica, è un impegno portato a termine da Alfa Cortesi Montanari, moglie di un nipote del sacerdote che a lungo abitò con lui: dal 2011 lo stradello che dalla piazza porta alla chiesa, percorso abituale del sacerdote, porta il suo nome. “Io non ero a Verica in quegli anni – mi racconta – ma mio marito, che ha vissuto a lungo con don Michele, mi ha raccontato ciò che accadde in quegli anni. Mi sembrava giusto fare i modo che la memoria fosse condivisa”. Ed è grazie a lei che possiamo raggiungere una testimone diretta, la signora Gianna Levi, di Bologna, che ci racconta che cosa accadde: “Quando furono premiate le famiglie che misero al sicuro i Neppi – ci racconta – scoprimmo che c’era una parte di storia non raccontata: i miei genitori furono accolti prima dal sacerdote e poi dalla famiglia Mucciarini, per mettersi in salvo. Parlai con Sara Ghilad, primo assistente dell’Ambasciata di Israele a Roma, per avviare il percorso che permettesse anche a loro di entrare tra i Giusti. La mia famiglia, impegnata anche nella testimonianza delle persecuzioni razziali, ha raccolto il materiale e, finalmente, dopo un lungo percorso, siamo arrivati alla meta”.
“Dopo la proclamazione delle leggi razziali la mia famiglia scelse la conversione; ci rifugiammo a Susano dopo l’8 settembre; mio padre, ingegnere, licenziato dal Controllo combustioni, un’agenzia statale, dopo il ’38 lavorava come libero professionista in tutta la regione e tornava a Bologna ogni tanto per la posta e le notizie di prima mano. Un giorno un gruppo di condomini lo aspettava, non lontano da casa, per avvisarlo che i tedeschi gli avevano teso una trappola; la fuga era la sola scelta possibile: da Susano ci trasferimmo a Modena dai nonni, poi la famiglia fu divisa. Cercavano infatti una coppia con 6 figli, ma noi fummo accolti in luoghi diversi, tra collegi bolognesi, zie, altri parenti, mentre mio padre e mia madre arrivarono soli a Verica, con una lettera di presentazione per il parroco, ottenuta attraverso il Comitato di Liberazione Nazionale di Modena, grazie all’avvocato Tacoli”.
I genitori: Mario Levi, figlio di Roberto Levi e Pia Teglio, e Ida Crimi: “I fratelli della nonna erano noti ed impegnati nella comunità: Ferruccio Teglio, primo sindaco socialista di Modena, e Attilio Teglio, giornalista del Carlino, anche lui perse i lavoro in seguito alle leggi razziali..”. C’è una grande parte della storia di Modena del secolo scorso intrecciata alla vita della signora Gianna, che continua. “I miei genitori rimasero alcuni giorni in canonica, poi furono accolti dalla famiglia Mucciarini, che abitava lontano dal paese, a Montefolignano. L’andamento del fronte, con combattimenti anche a Verica,  spinse poi mio padre ad unirsi alla Resistenza, col gruppo di “Armando” Ricci, per la quale operò come ufficiale di collegamento. Era stato nell’esercito, prima delle leggi razziali, e alla fine della guerra ricevette la medaglia d’argento al valor militare per il suo impegno nella guerra di liberazione. Il signor Alfonso,un vero signore, il protettore della mia famiglia, ha custodito a lungo queste informazioni. Per tutti i miei genitori erano sfollati “normali”, in montagna a causa dei bombardamenti. Fu alla cerimonia per la famiglia Neppi che si seppe anche della loro accoglienza ai miei. Ricordo che mia madre, a Verica, vide i Neppi a messa; loro non si erano convertiti, ma assistevano alle celebrazioni per ragioni di opportunità: finse di non riconoscerli, anche se a Bologna ci frequentavamo. Il silenzio, che in quegli anni era necessario, ha potuto essere rotto. Terenzio Succi ha fatto un grande lavoro di documentazione su quegli anni”.
La signora Gianna, alla soglia degli 80 anni, ha una memoria nitida e precisa, racconta con piacere della sua famiglia e di quegli anni, del minuzioso lavoro di documentazione fatto per Yad Vashem, della grande dignità delle famiglie che accolsero gli ebrei: “Gli italiani per la maggior parte furono accoglienti, molti furono gli ebrei messi in salvo da famiglie cattoliche, tanti sacerdoti si impegnarono per questo. Ricordo la mia sospensione da scuola, in seconda elementare; mia mamma era di padre “ariano” e questo ci permise di tornare in classe,  mentre molti coetanei frequentavano la scuola della comunità ebraica: c’erano fior di insegnanti, cacciati dalle scuole statali, che preparavano i ragazzi agli esami da privatisti”.