In fuga dalla Siria: 850 visitatori alla mostra

 
Lasciare da parte per un’ora la propria identità, per diventare un profugo siriano: in mano un passaporto che ti dice chi sei, che cosa stai perdendo, e poi via, lungo un percorso che fa sperimentare il dubbio, la paura, la responsabilità per sé e per i familiari, l’incertezza, la necessità, stringente, come in una tragedia greca, davanti alla quale non ti puoi fermare. “In fuga dalla Siria” è mostra, laboratorio, gioco di ruolo che consente di sperimentare, anche solo per un’ora, le emozioni, le angosce e le speranze di chi ha la fuga dal proprio paese come unica possibilità di sopravvivenza. “Se fossi costretto a lasciare il tuo paese, cosa faresti?”: questa è la domanda che accompagna, da una scelta all’altre, nelle decisioni i partecipanti.
Realizzata da Granello di Senapa, il coordinamento diocesano per l’educazione alla mondialità di Reggio Emilia, la mostra toccherà altre tappe in regione, è proposta agli studenti, dalla terza superiore, ai gruppi parrocchiali, scout e a chi ha voglia di provare a mettersi, anche per poco, nei panni di un altro, un altro fragile e debole.
Silenzio, stupore davanti alla “coraggiosa paura” che sostiene chi scappa dalla sua casa, la responsabilità per un figlio, un fratello, un familiare malato e la certezza di godere di una grande fortuna e di una grande libertà, nonostante le difficoltà quotidiane.
Una educazione alla cittadinanza – nelle parole degli insegnanti che hanno accompagnato le classi – che rimane compito primario della scuola.
Info: granellosenapa.wordpress.com
 I  primi a vivere la mostra/laboratorio  gli studenti  delle superiori modenesi Selmi e Signonio, dopo il percorso di  volontariato  realizzato insieme alla Caritas diocesana
Prima di ricevere, dai propri insegnanti e dirigenti scolastici, l’attestato della partecipazione al percorso, che ha conferito anche crediti formativi, gli studenti hanno inaugurato “In fuga dalla Siria”, che li ha messi – è proprio il caso di dirlo – nei panni di profughi siriani, costretti a fare scelte, a prendere decisioni, a sperimentare la precarietà, l’incertezza, la responsabilità, per sé, nel viaggio da soli, o per un familiare, un figlio, un genitore, facendo in due, o più, il percorso. Scelte, da fare in molti casi in pochissimo tempo, denaro che non basta mai, assenza di ogni garanzia. Non è mai facile tenere insieme istinto e razionalità, quando lasciare il proprio paese è la sola scelta che può permettere di sopravvivere, e anche i commenti dei ragazzi, dopo il laboratorio, lo hanno dimostrato. Vestendo, anche in senso fisico, i panni di un profugo, assumendone l’identità, cercando, in un tempo minimo, di avere con sé il corredo necessario per partire, contando e ricontando i pochi soldi a disposizione, trasformandosi in madri o padri, in malati, in altro da sé, ogni partecipante al laboratorio ha compiuto un percorso che lo ha portato a riflettere su emozioni e sensazioni di chi diventa esule.
Sulla vela della zattera, al centro sella sala, hanno lasciato biglietti con le parole di sintesi dell’esperienza. paura, coraggio, rischio, coraggiosa paura, indecisione, libertà, bisogno d’aiuto e le hanno spiegate così.
“Ci siamo trovati davanti a molte scelte, quelle di chi fugge continuamente. Forse io non ce la farei – racconta Alice – e comunque per ora non sono costretta a farlo: vivo qui, ho una grande possibilità di scegliere. Le emozioni più forti? Indecisione e paura di fare la scelta sbagliata”. “E’ stato più facile da sola – dice Elena – che in coppia, perché da soli le decisioni sono più immediate, in due c’è più paura: decidere per un altro, nel mio caso un figlio malato, è molto più difficile. Le sensazioni provate sono la paura, il coraggio, il senso di responsabilità”. Qualcun altro non è dello stesso avviso: “Essere in due ti permette di condividere le decisioni – ha rimarcato Giulia –  e di confrontarti. Da soli è emotivamente più semplice, in due si è più sicuri sulla decisione, ci sono scambio e condivisione”.
Siem ha attraversato entrambi in percorsi come genitore “Ho sentito molto il peso della responsabilità, ho sentito il peso del carico”. “A volte -aggiunge Angelica – le coppie sono costrette a separarsi e non è detto che partire insieme sia poi garanzia di arrivare insieme. E bisogna tener conto che i costi si moltiplicano, come i rischi”.
“Siamo fortunati e non ce ne rendiamo conto: ho provato angoscia anche davanti ad un pezzo di carta. E quindi penso a chi questi viaggi li deve fare davvero” sottolinea Emma. “E’ stata un’occasione per riflettere su quanto siamo fortunati – conclude Susy, su tutte le volte che ci sentiamo in difficoltà davanti a scelte piccole e semplici, se confrontate a quelle dei siriani”.
Nicoletta Carrieri è una delle insegnanti che accompagna i giovani sia nel percorso di volontariato e che ha scelto di condividere con i suoi allievi anche il percorso della mostra, mettendosi in gioco. “Credo – ci dice- che la scuola, accompagnando i ragazzi ad esperienze come queste, sia di relazione con le persone più fragili della società che di conoscenza di una tragedia come la guerra, assolva ad una parte del proprio compito educativo nei confronti dei futuri cittadini”.
 
La mostra, allestita nelle sale della parrocchia cittadina di Gesù Redentore, ha permesso ad oltre 850 persone in 4 giorni di  provare a rispondere alla domanda “Se fossi costretto a lasciare il tuo paese, cosa faresti?”