San Bartolomeo torna a splendere

La chiesa di San Bartolomeo è stata per quasi 400 anni officiata dai gesuiti, ordine religioso fondato nel 1540 da S. Ignazio di Loyola. Il duca Ercole II d’Este chiamò a Modena la Compagnia di Gesù già nel 1556, anche se i religiosi si stabilirono in un primo tempo nei pressi della chiesa delle Grazie e soltanto il 21 febbraio 1607 fu posata la prima pietra della nuova chiesa. Il disegno è del gesuita

La presentazione del restauro della chiesa di San Bartolomeo offre ai modenesi l’occasione per riscoprire (o scoprire per la prima volta) un vero capolavoro di arte e fede, purtroppo poco conosciuto e valorizzato, una delle chiese più imponenti e sorprendenti della nostra diocesi. Molti modenesi forse, camminando frettolosamente o distrattamente lungo via dei Servi, non si saranno mai accorti di passare davanti ad una grandiosa facciata, talmente grande da essere faticosamente visibile nella sua interezza dalla strada; e altrettanti, perciò, non avranno neppure pensato di entrare per scoprire cosa ci sia al di là dell’ingresso. Proviamo ora a farlo insieme, virtualmente.

 
Giorgio Soldati da Lugano, architetto che aveva già progettato nel 1582-87 la chiesa di San Pietro a Piacenza, ricalcando il modello della chiesa del Gesù a Roma del Vignola e di Giacomo della Porta (1561-75). Anche il progetto modenese è ispirato al Gesù di Roma, chiesa madre dell’ordine e modello per tutti gli edifici di culto gesuitici.
La nuova chiesa di San Bartolomeo, costruita sul luogo ove sorgeva una precedente chiesa di cui si hanno notizie dal XII secolo, fu inaugurata nel 1614, ma i lavori furono completati soltanto nel 1629. Nel frattempo, al progettista padre Soldati era succeduto il bresciano Luca Bienni, anch’egli gesuita e architetto.
 
La facciata invece fu realizzata nel 1727 dal piacentino Andrea Galluzzi – chiamato dal duca a Modena nel 1716 come scenografo e apparatore teatrale – attivo in quegli anni anche nella ristrutturazione del convento dei domenicani. Rispetto alle soluzioni inizialmente proposte dal Soldati, quella elaborata dall’architetto piacentino è caratterizzata da uno stile meno sontuoso e trionfalistico, all’insegna di una maggiore sobrietà. La facciata è ritmata verticalmente da quattro imponenti lesene corinzie che sorreggono una trabeazione con alto cornicione spezzato al centro, in corrispondenza del finestrone archivoltato. La zona centrale della facciata, terminante a timpano, si eleva notevolmente rispetto alle parti laterali ed è ad esse collegata tramite due volute arricciate. Sotto al timpano si trova un grandioso rilievo con le lettere ‘JHS’ circondate da raggiera: questo trigramma è noto come Monogramma di Gesù e deriva dalla sigla ‘ΙΗΣ’ (abbreviazione della parola greca ‘ΙΗΣΟΥΣ’ cioè “Iesous” = Gesù), comparsa in manoscritti greci del III secolo; ebbe enorme diffusione nel XV secolo grazie a San Bernardino da Siena che pose il trigramma entro un sole a dodici raggi, mentre nel 1427 papa Martino V ordinò l’aggiunta di una croce sopra la H maiuscola; nel 1541 Ignazio di Loyola lo scelse come proprio sigillo e infine la Compagnia di Gesù lo adottò come proprio emblema.
Nelle nicchie dell’ordine superiore sono collocate tre grandi statue raffiguranti, al centro, il santo titolare della chiesa, San Bartolomeo apostolo, e ai lati i santi gesuiti Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka.
 
L’interno è suddiviso in tre navate, con pianta a croce latina a bracci poco sporgenti, terminante con abside rettangolare. Lungo le pareti laterali si aprono quattro cappelle per lato e altre due cappelle sono collocate sul fondo delle navate minori. Gli altari laterali sono arricchiti da opere di importanti pittori del Sei-Settecento emiliano (tra cui Sante Peranda, Giuseppe Romani, il Pomarancio, Ludovico Lana, Jean Boulanger), ma ciò che colpisce e affascina, alzando lo sguardo, è la straordinaria decorazione pittorica che ricopre la volta della navata.
Il grandioso affresco è opera di padre Giuseppe Barbieri (1642-1733): poco si sa di questo eccezionale pittore gesuita, tranne che fu allievo diretto del maestro dell’illusionismo pittorico barocco, il trentino Andrea Pozzo, a cui peraltro gli affreschi di San Bartolomeo, fino a pochi anni fa, erano tradizionalmente attribuiti.
 
Sulla semplice volta a botte della navata, padre Barbieri è riuscito a creare la simulazione prospettica di un secondo tempio, sovrapposto a quello reale della chiesa: un’architettura illusionistica che con un sinuoso movimento di colonne, archi, volute, trabeazioni e balaustre si protende verso l’alto dove, in una luce aurea, è raffigurata la volta celeste popolata da angeli volteggianti e figure panneggiate di santi tra le nubi. Nel primo tratto, entrando dall’ingresso, si trova l’Eterno Padre in trono, rappresentato come una visione di luci, circondato dagli Apostoli. La scena sacra è circondata da finti colonnati, terrazze, mensoloni, resi con impareggiabile abilità nel contrasto dei chiaroscuri e delle tonalità, da cui fanno capolino putti e angeli che paiono davvero volare vertiginosi e silenziosi nella penombra della navata.
La decorazione sopra il presbiterio raffigura, con uno scorcio arditissimo degno dei maggiori maestri del barocco, l’Apoteosi di San Bartolomeo; mentre nei transetti sono dipinte la Gloria di Sant’Ignazio (a sinistra) e di San Francesco Saverio (a destra).
 
Forse dal suo insegnante Andrea Pozzo, padre Barbieri riprese l’idea di realizzare una grande tela dipinta ad imitazione della cupola: infatti, anche nella chiesa romana di Sant’Ignazio si trova una tela ‘prospettica’ che riproduce illusionisticamente gli elementi architettonici e decorativi di una cupola che in realtà non esiste. In San Bartolomeo, collocandosi nel punto di osservazione ottimale indicato da un cerchio nel pavimento, il visitatore fatica a distinguere se ciò che sta guardando sia finto o reale…
Gli affreschi delle navate laterali furono realizzati, sempre con un’abile pittura prospettica, all’inizio del XVIII secolo dal modenese Jacopino Consetti (a cui si devono le figure) e da Pellegrino Spaggiari da Reggio (che dipinse gli ornati).
 
Il presbiterio accoglie l’altar maggiore in marmi policromi con un imponente ciborio realizzato nel 1620 da Giovan Battista Bassoli, coadiuvato da Cecilio Bezi e Giovan Battista Censori, che eseguì gli ornamenti in bronzo, mentre le statue in gesso e scagliola sono di Antonio Contraversi o Traeri, detto il Cestellino.
 
I recenti restauri, di cui fra pochi giorni s’inaugura un primo stralcio, si sono rivelati molto impegnativi dal punto di vista progettuale (a causa di un complesso degrado delle strutture murarie della chiesa) e onerosi da quello finanziario, e sono stati resi possibili grazie al sostegno economico di varie istituzioni cittadine, tra cui la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.
Gioiello dell’arte barocca e testimone prezioso della religiosità e della fede degli ultimi quattro secoli a Modena, la chiesa di San Bartolomeo è sicuramente uno degli edifici di culto più interessanti e importanti della nostra città e della diocesi, dunque merita una visita non superficiale, in cui l’ammirazione dei capolavori artistici possa predisporre a profondi momenti di meditazione e preghiera.