Domenica 2 settembre l’arcivescovo Castellucci ha benedetto l’altare rinnovato del «Pantheon Estense»

La chiesa di Sant’Agostino ha ripreso vita

Sei anni dopo il sisma del 2012, finalmente Sant’Agostino ha riaperto. I lavori nelle chiese comunali lungo la via Emilia – Sant’Agostino, la Chiesa Nuova (o del Voto), San Biagio – stanno progredendo gradualmente, come la barra di avanzamento che nei software indica l’aggiornamento di un programma, il programma della rinascita di un centro storico che si sta riprendendo dalla rude spallata del terremoto.

Domenica 2 settembre le campane sono risuonate in quell’angolo della vecchia Modena che da anni restava muto, attendendo di ritrovare il suo posto agli occhi dei geminiani: un posto che non aveva mai perduto nei loro cuori e nei loro ricordi, come ha dimostrato la vasta partecipazione alla Messa solenne, presieduta dall’arcivescovo Castellucci alle 11 alla presenza delle autorità civili e militari, con l’ampia navata piena di fedeli. Qui, al canto della corale di Sant’Agostino, preceduta dalla croce astile e dall’evangeliario ed accompagnata dalle volute dell’incenso, è avanzata verso l’altare rinnovato – ancora spoglio in attesa della benedizione – la processione solenne con l’arcivescovo in paramenti pontificali, il parroco monsignor Paolo Notari, il canonico Giuseppe Albicini, già parroco e attualmente rettore della Basilica minore di Fiorano, i sacerdoti, i diaconi e numerosi ministri e ministranti.

Nel presbiterio troneggiava l’antico altare maggiore, abbellito dall’apparato anticamente in uso per le Quarantore, sulle cui scaffe tremolavano le fiammelle dei candelieri argentati. Dietro, nel coro, le grandi statue di san Contardo d’Este e delle due beate Beatrici, testimoni evidenti dell’antico legame della dinastia regnante con quello che fu il Pantheon Atestinum, continuo rimando a figure di santità legate agli Estensi da una parentela reale o leggendaria. In Sant’Agostino risalta – a saperla leggere – la connessione fra la dimensione liturgica e quella sociale, espressa, ovviamente, nelle forme che entrambe avevano assunto nel Seicento.

Il tema del rapporto fra celebrazione e vita, fra «foro interno» e «foro esterno», fra interiorità e socialità, rimane di perenne attualità ed era al centro della Liturgia della Parola di domenica. Commentando il Vangelo (Mc 7,1–8.14–15.21–23), l’arcivescovo Castellucci ha sottolineato proprio questo rapporto fra interno ed esterno, cuore e parole, interiorità e immagine esteriore:«La parola più pesante detta da Gesù nel Vangelo di Marco la ascoltiamo oggi: “ipocriti”, una parola molto ricca di significato, anche se oggi la usiamo poco».

Il termine «ipocrita» deriva dal greco e significa letteralmente «attore», ovvero colui che recita una parte. «L’ipocrisia è una frattura tra il cuore e la voce, tra ciò che uno “è” e ciò che uno “dice” di essere. Una delle novità più grandi che Gesù ha portato è proprio il primato del cuore – ha sottolineato Castellucci – Mentre la religiosità giudaica del suo tempo era tutta impostata sulle parole e sulle norme esteriori, la religiosità di Gesù è tutta impostata sul cuore, sull’interiorità». Una religiosità ridotta a mera osservanza esteriore rischia di seppellire il comandamento più grande, quello dell’amore di Dio e del prossimo, sotto una serie di norme che possono incentivare comportamenti ipocriti. «Ciò che faceva più arrabbiare Gesù non era l’ipocrisia in generale, ma l’ipocrisia religiosa; riprendendo ancora le parole di Isaia, Gesù dice: “invano mi rendono culto”.

Ipocrita, per Gesù, è chi pensa di accontentare Dio e la propria coscienza onorandolo semplicemente con le labbra e con dei gesti formali, ma senza la partecipazione del cuore – ha detto l’arcivescovo – La nostra pratica religiosa, quindi, non si esaurisce dentro le mura di una chiesa: qui, piuttosto, riceviamo il carburante per andare nel mondo, cioè la parola di Dio e dei sacramenti, la cui energia va spesa nel resto della settimana, nei tempi e nei luoghi della vita umana.

Altrimenti diventa ipocrisia: e le nostre liturgie si riducono a delle recite teatrali». Castellucci ha quindi concluso sottolineando l’importanza della riapertura di Sant’Agostino e ammonendo: «La bellezza artistica, espressa in questo monumento con una potenza e una grazia apprezzati da tutti, è per noi cristiani un compito: celebrare qui significa impegnarsi a trasferire l’armonia di questo tempio nella vita di ogni giorno, negli incontri quotidiani, nella rete di relazioni della città». La celebrazione è quindi proseguita con la benedizione dell’altare rinnovato. Al termine della Messa, monsignor Notari ha ringraziato le autorità e quanti hanno reso possibile il restauro di Sant’Agostino, in particolare la Regione Emilia–Romagna, la Fondazione Cassa di Risparmio e il Comune di Modena, rappresentato dal Sindaco, che ha preso la parola per sottolineare l’importanza delle chiese nel patrimonio spirituale e artistico della città, annunciando che i lavori nella chiesa del Voto termineranno in autunno e quelli in San Biagio inizieranno entro l’anno.