Festa della dedicazione della Cattedrale

“Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Chissà quante volte abbiamo ascoltato questo incredibile mandato di Gesù a Simone. “Incredibile”, perché Pietro non aveva minimamente la saldezza della pietra. Se meritava un soprannome – sembra che Gesù ogni tanto li attribuisse – non era certo quello di “roccia”, ma semmai quello di “sabbia”: si era dimostrato – e si dimostrerà ancora dopo questa investitura, addirittura subito dopo – una persona impulsiva, quasi istintiva, certo incostante. Ma dovremmo prestare attenzione, ascoltando questo mandato, non solo all’immagine della pietra, che certamente colpisce, ma anche ad una parola che colpisce molto meno, ma è ancora più importante: l’aggettivo possessivo “mia”: “edificherò la mia Chiesa”. Gesù non sta facendo testamento, altrimenti avrebbe detto a Pietro: “edificherai la tua Chiesa”: l’avrebbe cioè consegnata nelle mani dell’apostolo, rinunciando ad ogni diritto su di essa, come fa chi scrive o comunica un testamento. No: Gesù non fa testamento, perché rimane vivo per sempre; non rinuncia alla Chiesa, che resta per sempre “sua”. La Chiesa non è di Pietro, è di Gesù. Pietro è il segno visibile dell’unità della Chiesa, ma la Chiesa resta di Gesù.
Per questo il Signore può permettersi di scegliere come “pietra” uno che non è saldo, né per carattere, né per coerenza. Non è sull’umanità di Pietro che poggia la Chiesa, ma sulla scelta che Gesù fa di Pietro, nonostante la sua umana fragilità. Perciò nel “Credo”, professando la Chiesa, non menzioniamo Pietro, ma la fedeltà del Signore che rende la Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”. Pietro e i suoi successori, e l’intero magistero nella Chiesa, non sono gli eredi di Gesù, ma i custodi della fedeltà a Gesù: lo sono nonostante i loro limiti umani e le loro fragilità.
È questo il motivo per cui la Chiesa non si è estinta in venti secoli, nonostante i peccati degli uomini che la compongono, compresi i pastori, che non sono né migliori né peggiori degli altri fedeli, ma sono dei fedeli incaricati dal Signore di custodire la fede in lui. Come sappiamo, ci sono stati nella storia tanti successori di Pietro oggettivamente molto fragili nella loro umanità, così come lo era stato lui: e questo rende ancora più evidente che la Chiesa è di Cristo, non di Pietro. Ci sono stati e ci sono tanti pastori, vescovi e presbiteri, pieni di difetti e umanamente molto deboli – uno di questi vi sta parlando – che rendono ancora più evidente come la Chiesa è di Cristo. La vicenda del nostro magnifico Duomo, la cui dedicazione avvenne ad opera di papa Lucio III il 12 luglio 1184, sembra una conferma delle parole di Gesù. La prima pietra del Duomo, come ha ricordato l’Arciprete maggiore, fu posata quando a Modena non c’era il vescovo. In piena epoca di “lotta per le investiture”, dove il Papa e l’Imperatore si contendevano l’elezione dei vescovi, Modena rimase senza pastore per quattro anni. E fu proprio allora che tutto il popolo, clero e laici, decise di porre la prima pietra. Davvero “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”: la Chiesa di Gesù, non quella del vescovo, in quel momento inesistente.
Desidero ringraziare di cuore tutti coloro che vogliono bene al nostro Duomo: e sono tanti, anche al di fuori di Modena, perché è impossibile non rimanerne affascinati. Ma ringrazio in particolare coloro che, con modalità diverse, offrono il loro servizio alla Cattedrale. In particolare il Capitolo metropolitano e il suo Arciprete e tutti i sacerdoti celebranti e confessori; coloro che si dedicano al servizio liturgico: diaconi, accoliti, lettori, chierici e chierichetti; i cantori della Cappella musicale diretti dal maestro Bononcini; gli Amici del Duomo, che sostengono le attività culturali della Cattedrale; i tanti volontari del Museo: attualmente una trentina e molti altri si sono succeduti dal giubileo del 2000 in poi, che da allora permettono di tenere aperto il Museo del Duomo; i due sagrestani del Duomo, George e Lasanta; quest’ultimo, il più “anziano” di carriera, ormai da 15 anni impegnato in questo lavoro, a fine luglio tornerà dalla sua famiglia – ha la moglie e due figlie – in Sri Lanka; cogliamo l’occasione per salutarlo questa sera e per ringraziarlo. Grazie a tutti: continuiamo insieme a edificare la “sua” Chiesa, la Chiesa di Gesù.