Mons. Lanfranchi, il ricordo nel trigesimo

 

Due le celebrazioni eucaristiche, in diocesi, nel trigesimo della morte del vescovo Antonio Lanfranchi, lo scorso 17 marzo. Mons. Giuseppe Verucchi ha presieduto l’eucarestia in Cattedrale:
“Siamo raccolti – ha ricordato all’inizio il vescovo emerito di Ravenna – a trenta giorni dalla morte di mons. Lanfranchi, per pregare ancora con lui e per lui, certi che lui sta pregando per la nostra chiesa locale e invochiamo il dono dello spirito su chi é incaricato della nomina del nuovo vescovo, per il Santo Padre e per quanti sono impegnati nella ricerca della terna da sottoporgli”.
Nell’omelia di mons. Verucchi gli spunti per una riflessione sulla figura dei pastori nella Chiesa, a partire dalle letture del giorno.
“Stiamo celebrando l’Eucarestia in suffragio del vescovo Antonio, e dal momento che il Signore conosce già il nome del suo successore, preghiamo anche per lui. Tre giorni prima che Antonio Morisse sono andato a trovarlo. Si rammaricava di non poter celebrare la messa e di non poter svolgere i suoi compiti. ‘Prega per me – mi disse – perché ho decisioni da prendere, alcune  dolci e altre pesanti’. Parto da qui per individuare il compito del pastore, specifico, nella Chiesa.  Nelle letture  di oggi si parla di acqua, che fa vivere, fiorire: dove arriva l’acqua fiorisce la vita. C’è un valore profetico in queste pagine, l’acqua è segno dei doni di Dio all’umanità: la Parola, il perdono, l’eucarestia e i sacramenti, lo Spirito Santo. Dove questi doni arrivano, portano vita nuova, la bellezza, la gioia, la libertà dal male. Compito della Chiesa è dunque di essere fiume e dividersi in tanti rivoli, per portare ovunque l’acqua dei doni,  perché dove arriva porta perdono, vita, salvezza. Compito del papa, del vescovo, dei pastori è essere strumento perché quei doni arrivino alle persone. E’ bellezza grande portare la Parola, il perdono, l’ eucarestia, mettere le persone a contatto con l’acqua viva che dona loro vita nuova. L’erba che fiorisce e le piante che danno frutto sono i credenti, i pastori devono facilitare l’incontro con quell’acqua viva. E c’é gioia nel far incontrare le persone con Dio. Il compito difficile é fare in modo che le comunità vivano l’amore e la comunione fraterna. Il bello é celebrare, perdonare, a volte più complesso individuare e attuare cosa il Signore mi chiede di fare per il bene della comunità, e questo bene é la comunione. Fare passare l’acqua di comunione e corresponsabilità é più difficile. Preghiamo dunque per il nuovo vescovo, con l’intercessione di Antonio. Chiediamo che sia il vescovo adatto per la nostra chiesa. In questo momento chi deve decidere sta facendo un elenco di nomi, tra cui saranno scelti i tre da presentare al Papa, pensando a chi è adatto per guidare questa diocesi. Vi dico questo non per stuzzicare la curiosità, ma per smuovere la preghiera, perché chi deve decidere lo faccia con fede e con amore, lasciandosi guidare dallo Spirito. Accoglieremo il nuovo vescovo con amore e con fede, ci prepariamo ad accogliere il pastore in spirito di fede e comunione, tendo presente che avrà compiti belli ed altri più difficili.
 
 
 
 
… e a Nonantola
 
Lo scorso 31 dicembre, mentre ci preparavamo per la Messa solenne di san Silvestro, in sagrestia qui alla Pieve, l’Arcivescovo, con fare paterno e pensoso, mi diceva: “Sai, la malattia è un’esperienza che ti fa capire tante cose…” E poi si è fermato, quasi per invitarmi a riflettere, a condividere con lui questa considerazione. Ho accennato a un tentativo di risposta: “E’ vero…” ma poi mi sono fermato, di fronte al mistero del dolore, vissuto in prima persona dal nostro vescovo. La celebrazione eucaristica che ha presieduto è stato come l’ultimo regalo del padre verso i figli, con alcune sottolineature che ci sentiamo di portare nel cuore perché siano attuate e realizzate: il confessare la fede attraverso l’annuncio del Vangelo in famiglia; l’importanza del dialogo in famiglia, per aiutare ad elaborare un giudizio di fede sugli eventi quotidiani e a formare una mentalità di fede; l’urgenza di illuminare l’oscurità che ci avvolge e che genera disorientamento sul significato dell’esistenza umana, sui giudizi ultimi sulla vita e sulla morte, sul perché siamo, uomini e donne, sulla terra.
 
Da ultimo vorrei ricordare quanto disse in Abbazia Mons. Antonio in occasione del suo ingresso a Nonantola come nuovo Arcivescovo Abate, la domenica 21 marzo 2010:
“Quando il Nunzio Apostolico mi consegnò la lettera in cui mi veniva comunicato che il Santo Padre mi nominava Arcivescovo Abate di Modena-Nonantola, mi chiesi: “perché tanto risalto a Nonantola da inserire il titolo di “Abate” nella nomina? Semplicemente per un rispetto di un passato che ha segnato la storia ben al di là dei confini del territorio dell’abbazia? O, accanto a questo, anche per altre ragioni?”. Credo proprio di non sbagliare nel cogliere nell’evidenza data al titolo di “abate” indubbiamente l’indicazione a non dimenticare le proprie radici, ad essere orgogliosi del proprio passato e a custodirlo come bene prezioso, ma perché tutto questo serva a porre i valori monastici come anima dell’azione pastorale dell’Arcidiocesi. La Regola di S. Benedetto e la spiritualità a cui ha dato forma che hanno segnato la vita della nostra Chiesa e della nostra civiltà e che oggi vengono studiate e applicate in diversi campi della vita umana devono continuare a ispirare il cammino pastorale della nostra Chiesa. In quest’ottica l’Abbazia e il titolo di “Abate” che accompagna il mio servizio sono a ricordare il primato di Dio, la centralità dell’evento Cristo, l’importanza di tradurre la fede nelle forme della vita cristiana, trasmettere la “sapienza cristiana”, che la vita monastica ha collaborato a formare, negli ambiti antropologici , come la libertà, le relazioni, la sessualità, il lavoro, l’uso del tempo, l’uso dei soldi, la condivisione dei beni. Questo vuol dire ricuperare la centralità dell’evento di Gesù Cristo. Dall’incontro con Cristo nascono persone nuove chiamate a costruire una nuova umanità, un mondo nuovo. E’ il messaggio che ci viene dalla Parola di Dio ed è il messaggio che tramanda questa Abbazia. Lasciamo che Cristo ci conquisti, come i monaci che hanno scritto pagine di santità e di civiltà in questa nostra terra per essere anche noi costruttori della civiltà dell’amore e della verità”.
Credo che oggi noi possiamo cogliere queste parole come un compito preciso, una eredità da far maturare e concretizzare nelle scelte concrete della vita. Sentiamo di avere vicino, nella comunione dei Santi, il nostro vescovo Antonio, che dal cielo ci sostiene con la sua preghiera.