Sei diaconi sono stati ordinati sabato in Cattedrale

Sabato 8 ottobre, alle ore 20.30 in cattedrale, il vescovo Erio Castellucci ha ordinato sei nuovi diaconi: per due di loro questa è una significativa tappa verso il sacerdozio; gli altri 4, laici, continueranno il proprio lavoro e la vita di famiglia, accanto al servizio nelle proprie parrocchie.
I due giovani che si preparano al sacerdozio sono Federico Ottani e Simone Cornia. Federico, 25 anni della parrocchia di Santa Teresa, in questi anni ha prestato servizio nell’unità pastorale di San Felice, nella parrocchia di San Cesario e ora è nella la parrocchia di origine.
Simone, 28 anni, anche lui di Santa Teresa,  negli anni di formazione ha prestato servizio nell’unità pastorale di Montefiorino e vicariato Val Dragone, nella parrocchia di Maranello e ora presso la parrocchia di San Giovanni Bosco, unitamente alla Città dei Ragazzi.
Insieme a loro saranno ordinati diaconi permanenti Giuliano Tollari di Magreta, ora in pensione, sposato, padre di 4 figli; Giovanni Vecchi, della Madonnina, informatore scientifico,  sposato, padre di 4 figli,  Adriano Tavani di San Biagio, celibe, lavora in una società di servizi bancari e Ruggero Bondioli di Polinago, sposato, padre di 3 figli, da 20 anni a servizio della sua comunità.
 
 
 L’omelia del vescovo Erio  Castellucci

 “E gli altri nove dove sono?”. L’amara considerazione di Gesù deriva dal fatto che, pur avendo guarito dieci lebbrosi, solo uno torna a ringraziare e oltretutto è un straniero. Gesù si è speso per loro ed è stato ripagato solo per un decimo. A volte certamente, come operatori pastorali, abbiamo fatto nostro il lamento di Gesù: “e gli altri dove sono?”. Sembra di sentir parlare un catechista del post-cresima o un parroco alla Messa domenicale o un vescovo al convegno pastorale diocesano. Gesù però rileva l’ingratitudine non per lamentarsi o per fare la vittima, ma per insegnarci a dire grazie. “Grazie”: sei lettere dell’alfabeto che si pronunciano in un secondo; eppure così difficili da pronunciare, perché difficili da comporre nell’animo. La gratitudine prende forma nel cuore prima che nella voce, è un atteggiamento prima che una parola. Se uno vive nella gratitudine, spunterà spesso sulle sue labbra la parola “grazie”; spunterà senza fatica, senza neppure il bisogno che qualcuno gli suggerisca – come fanno i genitori con i bambini – di dire grazie. Ma se uno vive nella convinzione che tutto gli è dovuto, non riuscirà più a meravigliarsi e misurerà le cose sul metro del diritto, non sul metro del dono: il “grazie”, anche quando uscirà dalla sua bocca, non sarà nato nel cuore. I nove lebbrosi ingrati erano giudei: in fondo era loro diritto essere guariti; il decimo è samaritano: a lui non spettava nulla, per lui è un dono. La gratitudine è il vaccino contro la tristezza. Perché chi vive pensando che tutto gli sia dovuto è una persona triste: finisce per guardare solo a ciò che le manca e le spetterebbe, nutrendosi dei propri lamenti.
Cari amici che state per ricevere il diaconato, Giuliano, Giovanni, Adriano, Ruggero, Simone, Federico: uno dei compiti urgenti oggi è il servizio della gratuità. Voi, assumendo la forma di Gesù Servo come perno della vostra vocazione, ci ricordate che la Chiesa e il mondo vanno avanti perché il Signore si spende gratuitamente per noi. Lui è venuto “non per essere servito ma per servire” (cf. Mc 10,45) , iniettando nel mondo la gratuità. Voi ci ricordate che le nostre relazioni non possono rispondere alla logica del calcolo e dell’interesse, ma alla logica del dono. Ci ricordate che il servizio è gratuità; una gratuità che quando abita il cuore diventa gratitudine e spunta dalle labbra nella parola “grazie”. Ci aiutate a capire che la nostra vita non si svolge dentro ad un ufficio contabile, nel rapporto tra dare e avere, ma dentro ad una famiglia, nel rapporto tra donare e accogliere. Da questa sera vi impegnate ad essere nelle vostre comunità cristiane le “sentinelle della gratuità”, perché il clima della gratitudine risani i tanti inutili conflitti e i troppi lamenti che le affliggono e perché lo stile del dono apra di più lo sguardo verso le molte lebbra che colpiscono gli uomini ancora oggi. I lebbrosi al tempo di Gesù erano dei veri “poveri”: feriti nel corpo da questa terribile malattia, feriti nell’anima dal peccato, che i giudei ritenevano la causa vera della lebbra – per questo la guarigione doveva essere certificata non dai medici ma dai sacerdoti – e feriti nella loro dignità morale dalla segregazione alla quale erano costretti, vivendo separati dagli altri. Anche questa condizione ha forse contribuito all’ingratitudine dei nove: in fondo avevano sofferto molto, erano stati umiliati e calpestati nella loro dignità: non era giusto che fossero riscattati e restituiti ad una vita normale? Chi fa volontariato con le persone emarginate registra a volte questa loro mancanza di gratitudine: i poveri “romantici”, che ringraziano chi li aiuta, sono rari. Più spesso i poveri sono poveri anche della parola “grazie”, perché si sentono ingiustamente svantaggiati e provano una sorta di risentimento verso chi sta bene, compreso chi li aiuta. Gesù quei nove li ha comunque guariti a prescindere, e non ha ritirato la guarigione per la loro ingratitudine. Occorre scommettere che sarà l’amore stesso, nei tempi lunghi, a vincere l’ingratitudine.
Grazie, cari amici, per la disponibilità ad abbracciare la grande vocazione al diaconato; grazie a voi, che lo ricevete nella forma permanente e grazie alle vostre famiglie, specialmente – per chi è sposato – alle vostre mogli, che condividono con voi il servizio di “sentinelle della gratuità” nelle vostre parrocchie. Grazie a voi, cari seminaristi, che ricevete il diaconato come passaggio verso il presbiterato, che non cancellerà ma darà ulteriore forma al diaconato. Grazie a chi vi ha accompagnato in questi anni: le famiglie, gli amici, le parrocchie di origine e di servizio e soprattutto la comunità del diaconato con l’Istituto di Scienze Religiose di Modena per i diaconi permanenti e il Seminario Arcivescovile con lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio per i seminaristi. Non vorrei avere dimenticato qualcuno, e quindi trovarmi nella situazione dei nove lebbrosi ingrati: comprendo allora tutti gli altri in un “grazie” unico al Signore, che vi ha chiamati e vi accompagna nel dono gratuito della vostra vita.