Quando la Chiesa fa i sacramenti

Quando la chiesa fa i sacramenti: questo il titolo un po’ provocatorio del convegno diocesano dei catechisti, celebrato sabato 14 ottobre al Centro Famiglia di Nazareth. Attraverso una tavola rotonda, che ha riunito il liturgista Andrea Grillo, don Ivo Seghedoni, parroco di San Pio X, e il nostro vescovo Erio Castellucci, i catechisti intervenuti sono stati invitati ad interrogarsi sul come pensiamo e viviamo l’esperienza sacramentale. In particolare, una domanda ha fatto da sfondo alla riflessione: come le nostre comunità celebrano e quanto il nostro stile celebrativo incide nel costituirci comunità e nell’iniziare alla fede?.
Prossimità, reciprocità e creatività sono state le parole chiave che hanno scandito gli interventi di don Ivo prima e di Andrea Grillo poi, chiosati da alcune sottolineature del nostro arcivescovo. Don Ivo ha ripercorso le vicende che – a partire dalla esperienza traumatica del terremoto del 2012 – hanno condotto la comunità parrocchiale di San Pio a chiudere la propria chiesa e celebrare per circa un anno nei locali parrocchiali, e come questo evento sia stato di stimolo a ripensare al proprio stile celebrativo; come, nonostante la rinuncia agli spazi celebrativi consueti, la comunità abbia maturato la consapevolezza che alcuni aspetti decisivi della liturgia andassero salvaguardati perché capaci di dare forma alla vita cristiana. Ecco allora l’importanza della prossimità, cioè il tenere vivo il contatto tra le persone, il gustare il gesto del radunarsi e il raccoglimento; la reciprocità come attenzione all’altro e alla dimensione comunitaria del rito, evitando una visione individualista della messa; la creatività come capacità di vivere gli spazi, i movimenti, le azioni. Questa fedeltà ad alcuni principi irrinunciabili ha avuto come esito ultimo quello di decidere di ripensare totalmente lo spazio liturgico della chiesa, con un nuovo orientamento della assemblea, dell’altare e del battistero. Questa particolare esperienza si è rivelata, pertanto, una occasione propizia per re-iniziare alla liturgia la comunità, scoprendone – o riscoprendone – tutta la forza vitale e la capacità di rigenerare nuovamente alla fede gli adulti e i bambini che vi partecipano.
Andrea Grillo, riprendendo queste parole chiave, ci ha invitato ad allargare lo sguardo e a cogliere come la chiesa abbia solo recentemente riscoperto la preziosità di una liturgia che sappia valorizzare le esperienze elementari della vita umana. Azioni come radunarsi, cantare, pregare assieme, ascoltare e lodare, muoversi, mangiare e bere, non sono semplici gesti che arricchiscono i riti, quasi che ciò che conta sia, in ultima analisi, “capire” con la mente il mistero celebrato. Al contrario, proprio il vivere con profondità queste “azioni umane”, permette di entrare nel mistero della Pasqua di Cristo. Si tratta di una autentica svolta liturgica che ha preso il via solo un secolo fa ed esige un paziente lavoro di recezione, e di iniziazione ad uno stile celebrativo che abbiamo imparato a conoscere solo da cinquant’anni. Anche nella catechesi, quindi, occorre assumersi il coraggio di introdurre, pazientemente, alla ricchezza dei gesti liturgici, non come mera ripetizione di un rito, ma come “graduale” immersione nella vita comunitaria dove si respira la presenza sempre nuova del Risorto. Occorre, in sostanza, un altro “terremoto”. Quello che ci permette di abbandonare alcuni stili celebrativi, alcune “pretese” che ci accompagnano da lungo tempo, alcuni “diritti acquisiti” che in realtà impoveriscono il nostro celebrare invece di esaltarlo e rispettarlo.
Anche a livello catechistico possiamo finalmente liberarci da alcune “cattive abitudini”. Come raggruppare i bambini tutti assieme nei primi banchi per permettere loro, invece , di vivere la celebrazione con e attraverso i propri genitori.
Possiamo abbandonare la preoccupazione di fare del catechismo l’occasione per spiegare i sacramenti perché capiscano la messa, per accompagnarli invece a sperimentare la bellezza di certi gesti essenziali capaci di stupire e rivelare qualcosa di Dio. Possiamo evitare di doverci inventare sempre qualcosa di nuovo per attrarre l’attenzione, quasi che la “partecipazione” significasse dare a ciascuno (o ai bambini) qualcosa da “fare”.
Possiamo, in sintesi, dare fiducia alla nostra umanità, accompagnandola e affinandola perché possa “sentire”, attraverso tutti i sensi coinvolti la presenza “toccante” del Signore.
Il convegno è stato così l’occasione per costringerci ad alcuni “spiazzamenti” che chiedono di essere accolti, meditati e resi prassi concreta nelle nostre liturgie e nella nostra iniziazione cristiana. Se avremo questo “paziente coraggio”, scopriremo la forza di un patrimonio liturgico troppe volte soffocato dalla povertà dei gesti.